Italia
• Tra le mille soluzioni proposte per risolvere la crisi economica del Paese molti hanno avuto l’onestà intellettuale di indicare la più semplice: rilanciare l’investimento nella casa. Ovvero valorizzare quella ricchezza di quasi 5.000 miliardi di euro che le famiglie italiane possedevano in beni immobili, costituita prevalentemente dalle abitazioni di proprietà. Quanto varrà oggi questo patrimonio collettivo dopo il crollo dell’economia e del mercato delle case? Se consideriamo che in questi anni, come suggerisce Nomisma, la perdita di valore degli immobili in Italia è stata mediamente del 20 per cento, la stima della ricchezza rimasta alle famiglie si riduce a 4.200 miliardi. Dunque se ne sono andati in fumo 800 miliardi! A tanto infatti ammonta la perdita che ha subito il patrimonio immobiliare della famiglia italiana negli ultimi sette anni di crisi. A questo punto sta a noi decidere cosa vogliamo fare nei prossimi mesi: accettare che la corsa al deprezzamento del valore della casa continui o cercare di contrastare questa emorragia? E’ urgente ed essenziale che il Paese, il Governo, le imprese, le famiglie si impegnino concretamente a ragionare sulla inderogabilità di questa azione a favore della casa quale unico reale stimolo per rilanciare l’economia italiana. Investire in un proprio bene tangibile come l’abitazione ci sembra assolutamente più produttivo che spendere 80 euro in più al mese per beni di consumo. Provocatoriamente Innocenzo Cipolletta, al nostro convegno sulla finanza immobiliare di venerdì scorso, ha lanciato una proposta di regolamentare alcune necessità: “Se in Italia avessimo una legge che obbliga a mantenere e rinnovare gli immobili (ad esempio le facciate), nascerebbe una domanda costante e sicura. Si metterebbe in moto un meccanismo continuo di rinnovo”. A noi sembra che l’idea non solo abbia un senso logico ma che vada ben al di là della stimolante dissertazione del professore. A nostro parere anche senza che lo imponga il Governo, le nostre case HANNO bisogno di manutenzione continua; non solo, è l’intero patrimonio immobiliare del Paese ad essere vetusto, sia esso residenziale o no. Un concetto, questo del recupero, che in precedenza aveva sottolineato anche Aldo Mazzocco nel suo saluto iniziale in qualità di presidente di Assoimmobiliare: “Non sarà probabilmente divertente ma, per gli operatori dell’industria immobiliare, non è poi così scandaloso immaginare un’attività concentrata nella diligente manutenzione e gestione del patrimonio privato e pubblico del Paese. Certo non vi sarebbero più deal clamorosi di mercato ma un costante normale lavoro che garantirebbe l’occupazione alle imprese, decoro alle città e mantenimento della ricchezza in beni immobiliari alle famiglie italiane”. Il termine “normale” è forse quello che meglio si presta a indicare il percorso da compiere tutti insieme: partiamo dal basso, dalle opere più semplici, da quelle che più direttamente coinvolgono la gente, da quelle che migliorano la qualità della vita, da quelle che richiedono investimenti minimi sopportabili da tutti. Siamo perfettamente d’accordo che si dovrebbero sciogliere diversi nodi sul tema della casa da parte del Governo, impegnandolo seriamente in una riforma illuminata del sistema di tassazione degli immobili, portandolo a ragionare in termini di semplificazione delle imposte, di uniformità delle stesse e di premialità per chi invece investe nella ristrutturazione o nell’acquisto per alimentare il mercato dell’affitto. Una forte attività sulle ristrutturazioni garantirebbe un introito fiscale diretto e indiretto allo Stato che compenserebbe un’auspicabile revisione della tassazione in capo alla casa. Si vedano, come modello esemplare, le agevolazioni sulle ristrutturazioni introdotte dal Governo Prodi anni fa che hanno garantito un gettito fiscale più alto in valore assoluto. Attualmente in Italia ci sono circa 1 milione di abitazioni libere tra case nuove e usate. È un capitale che si può stimare, per difetto, in circa 2/300 miliardi. Cosa ne facciamo? Se a questo aggiungiamo tutti i cantieri rimasti bloccati a metà per la crisi, non possiamo pensare di lasciare immobilizzati tutti questi asset. Vogliamo fare una riflessione comune su come attivarli e inserirli nel mercato? Possibile che non ci rendiamo conto dell’assurdità di essere proprietari di tanta ricchezza improduttiva da cui non riusciamo a estrarre nessun valore ma che, anzi, se lasciata ferma, si distrugge. Le banche si sono dette disponibili a fare la loro parte e l’incremento del numero di mutui erogati ne è buon testimone; esse si stanno anche impegnando a trarre d’impaccio numerosi costruttori dal rischio fallimento rifinanziandoli fino al termine dei lavori di cantiere e aiutandoli a vendere sul mercato gli immobili. Salvare e rimettere in bonis una media impresa edile vuol dire continuare a far lavorare i dipendenti, ridare il via a nuovi lavori e iniziative, incoraggiare l’imprenditoria in difficoltà. “Ogni 100 euro di incremento di spesa destinata alle costruzioni” – ha dichiarato Massimo Tivegna, responsabile direzione Real Estate Network di UniCredit – “può attivare 215 euro di maggiore offerta tenendo conto del settore fornitori e degli effetti indiretti che l’espansione dell’attività in questi ultimi genera sull’intera economia”. Non è forse di questo che ha bisogno l’Italia? cioè di investimenti che inneschino un moltiplicatore indotto. Se esiste un fronte unico favorevole a questo indirizzo di politica economica (banche, famiglie, costruttori, gestori, industria indotta) sarebbe fondamentale che tutte queste voci si unissero solidalmente per promuovere un’azione comune di stimolo e sollecitazione al Governo. Quella è la strada che il Paese deve imboccare!